SOLFEGGIARE OGGI. I BAMBINI E LA LORO RISPOSTA ALLE SOLLECITAZIONI RITMICHE. Un tema importante che riguarda i ragazzi che si accostano allo studio della musica. Ce ne parla Maria Pina Solazzo docente di Teoria, Ritmica, e Percezione Musicale presso il Conservatorio Musicale “Tito Schipa” di Lecce.

by Mimmo

Maria Pina Solazzo, docente di Teoria, Ritmica e Percezione Musicale

 

Solfeggiare nel terzo millennio: che senso ha lo studio di questa disciplina in un’era in cui il digitale ha preso il sopravvento e la disciplina ha subito una profonda trasformazione, a cominciare dal nome?. Se si consulta il vocabolario Treccani il termine “solfeggiare” deriva da solfa, in quanto nella “solmisazione”, il metodo di solfeggio basato sulle sillabe, le note “sol” e “fa” rappresentavano la base di due dei tre “esacordi” che oggi portano il nome delle due chiavi più usate. Quindi solfeggiare significa testualmente “leggere la musica con il solfeggio”. Prima ancora di affrontare le problematiche relative a questa disciplina, occorre, però, individuare il campo d’intervento che si intende dimostrare: il solfeggio nella formazione pre-accademica, le attività didattiche destinate ai neofiti, implicano delle conoscenze primordiali e devono essere acquisite in modo molto consequenziale, senza concettualizzazioni. La lunga storia della didattica del solfeggio nasce con Ludwig van Beethoven (1770-1827).

Ludwig van Beethoven

Con il genio musicale tedesco la figura dell’interprete si comincia a sganciare da quella del compositore e si manifesta la necessità di comprendere bene il significato di quanto scritto, di fedeltà assoluta dell’opera musicale. Lo stesso per Igor Stravinsky (1882-1971), uno dei maggiori musicisti del ventesimo secolo, che lo ribadì a chiare lettere: -“L’esecutore non deve mai venir meno alla fedeltà di quanto scritto dall’autore e la corretta comprensione di quanto scritto è fondamentale”-.

Igor Stravinsky

Parte dai Conservatori Musicali francesi, nella seconda metà dell’Ottocento, l’attitudine a collegare in modo univoco i segni della scrittura musicale, le note, con le sillabe della solmisazione, i nomi delle note così come noi li conosciamo e quindi le posizioni esecutive sullo strumento. In Italia, questa attitudine a chiamare sillabicamente i suoni delle note, è sopravvissuta fino all’attualità richiamando anche posizioni sullo strumento, secondo il percorso nota-sillaba-tasto. Una delle critiche che è sempre stata mossa a questo modo di leggere la musica è la mancanza dell’”orecchio”, dell’elemento melodico, musicale: cioè l’esecutore non suona, non dà una realtà sonora, non fa musica, la legge e basta. Le grandi linee di pensiero che coinvolgono la disciplina sono fondamentalmente due: la prima è quella di proseguire secondo la decifrazione muta del segno notazionale, secondo cui i contenuti di questa istruzione assegnano una sillaba ad ogni posizione sul pentagramma, e dei ritmi, considerati come intervalli di tempo da calcolare suddividendo le pulsazioni; la seconda propende per lo sviluppo della musicalità del soggetto, cioè della valorizzazione e della promozione della capacità profondamente assimilata di interagire con i suoni, al modo di una competenza, cioè di una abilità radicata tra i processi più fondamentali del soggetto.

un’altra immagine della professoressa Maria Pina Solazzo

Relazioni sintattiche inizialmente frutto non di acquisizioni cognitive ma dello sviluppo di una grammatica inconsapevole, quella propria di una lingua madre. Chiaramente la conseguenza inevitabile della scelta a favore della musicalità è la perdita di centralità della lettura musicale. Probabilmente la vera chiave di accesso al solfeggio oggi, nell’avvio di un bambino al percorso musicale, è quella di impegnare l’allievo fin dall’inizio, fin dai primi contatti con i suoni e con i segni, su un repertorio musicale vivo: il repertorio stesso della sua pratica strumentale o vocale, o il repertorio che gli si fa ascoltare dal vivo o dai video. Quindi non più soltanto gli aridi esercizi di divisione, irriguardosi dell’espressività, privi troppo spesso di significato musicale, che sappiamo essere una delle cause prime dell’abbandono degli studi, dell’alta mortalità scolastica. Si dovrebbe utilizzare la scrittura come materia viva dell’oggetto facendola interagire
strettamente con la totalità delle esperienze musicali. Attualizzare il sistema di studio del solfeggio ha significato, per docenti come me che hanno passato interi decenni alla didattica del solfeggio, riscrivere il repertorio da sottoporre agli studenti: finalizzarlo, con strumenti molto più immediati, brevi e mirati, al concetto che si vuole affermare. Ad uso esplicativo: spiegare una “sincope” significa costruire il processo attraverso le figure di eguale durata di cui è costituita, aggregarle con legature di valore, sintetizzarla in valori ritmicamente adatti. Solo così, dopo aver presentato l’evoluzione del prodotto ritmico, l’identificazione diventa immediata e funzionale. Questo, in linea di massima, per ciascuna formula ritmica che si vuole far acquisire: occorre contestualizzare le informazioni per lo studio dello strumento che il bambino intende intraprendere e cominciare a muovere in quella direzione le esperienze musicali: portare lo studente a diretto contatto con la musica che si trova a frequentare, attraverso ascolto, decodifica, lettura, analisi, esecuzione di spartiti tratti dalla letteratura musicale esistente, di ogni genere, mediante l’uso di percussioni, intonando, suonando sul proprio strumento, pronunciando a tempo l’altezza delle note.

Maria Pina Solazzo mentre riceve un premio per l’impegno nella promozione della cultura musicale tra i giovani (Foto Rodolfo Pati)

Occorre necessariamente distaccarsi dalla metodologia didattica fondata sul solfeggio parlato che snocciolava difficoltà a prescindere, basata sulla percezione visiva anteposta a quella uditiva o sostitutiva di essa. E’ arrivato il momento, insomma, di abbandonare completamente l’idea di “formare” il senso ritmico “assoluto” dello studente attraverso eserciziari astratti, avulsi da un contesto musicale realmente, ma lavorare solo ed esclusivamente su formule ritmiche e melodiche potenzialmente coinvolgenti e riscontrabili nella letteratura musicale a disposizione di essi. ​

                                     Maria Pina Solazzo

 

 

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