L’associazione musicale “Maestro Rocco Quarta” di Monteroni (Lecce) si è esibita in un singolare concerto tenuto presso la chiesa parrocchiale di San Michele Arcangelo a Trepuzzi (Lecce), su invito del Maestro Gioacchino Palma,
direttore artistico di “Bande A Sud”, uno dei più importanti festival dedicati al mondo della banda musicale che si svolge nel Sud Italia. Si è trattato di un concerto molto particolare che ha unito due mondi e due tradizioni musicali: il Nord America ed il Sud Italia, apparentemente terre lontane tra loro ma, in realtà, molto più vicine di quanto si possa pensare. Nello stesso concerto l’associazione musicale “M° Rocco Quarta”, con la sua orchestra di fiati ha eseguito “Rhapsody in Blue” di George Gershwin ed alcune delle più famose ed importanti marce sinfoniche del repertorio bandistico. Tradizioni musicali apparentemente lontane, come lontani possono apparire geograficamente i mondi di riferimento, a confronto. Ma, se le marce sinfoniche rappresentano da un lato la festa, lo scorrere di una vita gioiosa, a volte spensierata come quella legata alle feste patronali, quella dei bambini che giocano in piazza, quelle delle bancarelle con i dolciumi, il torrone, il croccantino ed i giocattoli esposti, così “Rhapsody in Blue” rappresenta nell’immaginario americano lo scorrere dalla vita tipica di città, con i suoi lounge bar, il traffico veicolare, la vita vissuta in velocità. Gershwin definì la sua composizione: -“una sorta di multi cromica fantasia, un caleidoscopio musicale dell’America, con miscuglio di razze, un incomparabile brio nazionale, con i nostri blues, la nostra pazzia metropolitana”-.
Basta ascoltare la sua musica, perciò, per sentire quanto vera sia questa definizione. In questa musica c’è tutta l’America, con i suoi umori contrastanti, con i rumori delle sue città, con quell’energia e quel senso concreto del fare che la connotano da sempre. È un pezzo, come le marce sinfoniche, fortemente connotato dall’umanità che lo ispira. Per questo l’associazione musicale “Rocco Quarta” ha accettato l’invito del M° Gioacchino Palma ad essere mezzo di trasmissione in questa dicotomia che avvicina i due mondi, evidenziando come, addirittura, possano toccarsi in alcuni aspetti. La Rhapsody, d’altro canto, fu inizialmente concepita per pianoforte e orchestra jazz, molto affine alla big band, e fu successivamente orchestrata da Ferde Grofè
per grande orchestra sinfonica. La versione bandistica, quindi, in un certo senso, è un ritorno alle origini e richiama un po’ la prima stesura del pezzo. Gershwin stesso non ha mai ascoltato la versione orchestrata da Grofè, scritta dopo la sua morte. La versione bandistica, perciò, restituisce alcuni “colori” al pezzo che, probabilmente, Gershwin stesso aveva immaginato al tempo della sua composizione. Le marce sinfoniche che hanno completato il programma della banda “Rocco Qurta” Città di Monteroni sono state a loro volta eseguite per rappresentare piccoli mondi diversi all’interno del mondo della marcia sinfonica: “Cuore Abruzzese”, “Ligonziana” e “A Tubo”. Tre capolavori di autori diversi, rappresentativi di tre mondi musicali fra loro diversi. Il perché della scelta delle marce e non di altri pezzi legati alla tradizione musicale del territorio lo spiega il Maestro Gioacchino Palma organizzatore del concerto di Trepuzzi. -“Perché ritengo che sia importante salvaguardare quello che è ancora possibile della tradizione bandistica pugliese. Le bande “da giro” stanno diventando sempre di meno perché il repertorio lirico-sinfonico tradizionale in cassarmonica non ha più le stesse coordinate sociali che aveva un tempo e quindi questo porta soprattutto ad una difficoltà di fruizione.
Oggi c’è una certa disattenzione verso l’ascolto in piazza, che una volta era invece il cavallo di battaglia delle bande da giro. In piazza, infatti, non si riesce più a realizzare, per esempio, delle buone escursioni dinamiche: il mascheramento dei suoni è tale per cui non si riesce né dal punto di vista acustico né dal punto di vista della tensione a riproporre quello che era un tempo. Nel concerto si è evidenziato come le marce sinfoniche tradizionali, ascoltate in un contesto in cui la musica viene fruita con attenzione, ritrovano tutto il loro splendore compositivo formale, armonico, melodico e ritmico. Si riesce, quindi, a veicolare quell’attenzione che in piazza è sempre più difficile ottenere. L’idea, allora, è quella di mantenere il repertorio prescindendo dalla cassarmonica, per prevenire il pericolo di andare sempre più verso un assottigliamento del “colore”, e quindi salvaguardare il repertorio in luoghi in cui l’ascolto possa essere attento, al netto di tutte quelle componenti di mascheramento del suono, di disturbo, di rumore che contribuiscono a creare la disattenzione. È anche ora – aggiunge Gioacchino Palma – di cominciare a rivalutare il repertorio andato perduto o non più eseguito oppure, come in questo concerto proporre repertori poco usuali per la banda, come, appunto, “Rhapsody In Blue”, e tanti altri brani che potrebbero essere indicati ai fini di una rivitalizzazione della banda.
A proposito di ciò, la nuova Legge regionale sulle bande si focalizza, soprattutto, sugli aspetti della salvaguardia delle bande attraverso la regolamentazione, l’acquisto di materiale e strumenti e quant’altro. Però – conclude Palma – se non ricreiamo un pubblico e non ci poniamo il problema di come poterlo ricreare non sarà certo solo attraverso gli aspetti tecnici ed economici, pur importantissimi, che riusciremo a rivitalizzare questa tradizione”-. Per l’esecuzione di “Raphsody In Blue” la banda “Rocco Quarta” ha avuto come solista un’eccellenza del pianismo salentino, il Maestro Gabriele De Carlo. Ecco le sue impressioni. -“Quale miglior termine di “incontro” per definire il concerto di Trepuzzi – sottolinea il pianista – una meravigliosa serata musicale, un incontro di luoghi, persone, generi musicali, tradizione, cultura, sacro e .. profano. La prima sorprendente unione ha avuto luogo grazie al prezioso lavoro del Maestro Marco Grasso, che ha avuto la geniale intuizione di unire la grande tradizione bandistica salentina, incarnata in questo caso dall’eccellente ed imponente organico dell’Orchestra di Fiati “Rocco Quarta”, alla grande musica colta. Esperimento superato a pieni voti e che ha dato il la all’inizio di una collaborazione che promette traguardi e progetti ancora più ambiziosi.
Il programma musicale si è articolato in due parti: uno spazio dedicato alle marce sinfoniche, con all’interno delle vere e proprie chicche musicali, arricchite da preziosi intrecci nei vari momenti solistici ed uno spazio dedicato ad un capolavoro del repertorio colto del ‘900 di George Gershwin.
Idea visionaria, quella del M° Marco Grasso nel suo arrangiamento inedito, di voler utilizzare l’organico orchestrale di fiati e percussioni di tradizione locale, ottenendo un impasto timbrico molto suggestivo che riesce a dare una visione al contempo fedele della partitura originale di Gershwin, e che non lascia avvertire nessuna mancanza alle orecchie degli ascoltatori.
L’aspetto più difficoltoso di questo brano prosegue De Carlo – risiede nel tranello stilistico immediatamente dietro l’angolo; infatti sebbene presenti una chiarissima impronta jazz, rimane un brano appartenente alla grande musica colta ed il modo di interpretarlo e quindi eseguirlo, non può ignorare questa sua identità ibrida, specialmente nei fraseggi, che devono godere della libertà scanzonata del jazz, senza però incappare nell’errore di tramutarsi in una parodia, cercando in ogni caso di mantenere la nobiltà della scrittura colta. Per quanto riguarda la mia personale esperienza, il concerto l’ho vissuto con emozione, trattandosi di un brano che regala momenti di grande brio, spensieratezza, seduzione, delicatezza e sentimento, tutti in ordine rigorosamente sparso, come una vera rapsodia richiede.
L’energia e la magia che si son create sono rimaste vive nei giorni seguenti ed è stato bello continuare a sentirsi e parlarne con il M° Grasso e con i musicisti dell’orchestra”. Alla guida dell’Orchestra di fiati “Rocco Quarta” c’è, da dieci anni il M° Marco Grasso. La collaborazione tra istituzione musicale che ha sede a Monteroni (Lecce) e il Maestro è nata anche con l’intento di esplorare repertorio e forme concertistiche nuove. Tale collaborazione è via via confluita in un rapporto di fiducia e stima reciproca che va al di là della semplice collaborazione musicale. Studi severi in conservatorio, studi di Direzione d’Orchestra con Rino Marrone, di Composizione con Gianluca Baldi, laurea in ingegneria, corsi di perfezionamento a Siena, Firenze, Vicenza, tanta musica scritta, tante commissioni e prime esecuzioni, innumerevoli concerti, e una grande passione per la banda, fanno di Marco Grasso un musicista preparato e apprezzato.
Oltre ad essere il direttore musicale dell’orchestra salentina, lo è anche dell’Orchestra dell’Università di Bari, Atheneum, incarico a cui tiene molto, ed è una figura di riferimento per tanti giovani che si affacciano al mondo della musica, avendo sempre avuto un occhio di riguardo per tutto il mondo della musica e delle orchestre giovanili. I temi riguardanti la musica, il mondo della banda, la formazione lo interessano molto. -“Ringrazio il M° Palma per la fiducia concessaci ed il M° De Carlo per l’eccellente esecuzione al pianoforte – sottolinea Marco Grasso -. Fin dal primo incontro con abbiamo avuto la sensazione che sarebbe stata una produzione estremamente interessante, sia per qualità delle sessioni di prova, dove abbiamo potuto lavorare minuziosamente su alcuni aspetti della Rhapsody ma anche sull’idea di suono che ne è poi derivata, che è stata trasferita anche nelle esecuzioni delle marce sinfoniche. La vera sfida del concerto, infatti, è stata quella di rendere tutte le incredibili sfaccettature del materiale musicale in programma e dargli una coerenza timbrica e sonora.
In questo devo dare gran parte del merito all’orchestra, sempre pronta a rispondere agli stimoli, a mettersi in gioco e a lavorare sui particolari. Sono anche molto grato al M° De Carlo non solo per l’eccellente qualità musicale del suo lavoro, la pazienza e la passione, ma anche per la capacità, in pochissime prove, di mettere a punto il dialogo tra orchestra e pianista. Una difficoltà spesso sottaciuta nell’esecuzione della Rhapsody è quella di dover conservare la giusta concentrazione nei lunghi momenti dedicati al solo pianoforte per tornare senza tentennamenti ai momenti concertanti con l’orchestra. Ecco, non è semplice sia per il pianista, che per l’orchestra e per il direttore conservare l’idea di suono e di timbro costante per tutta l’esecuzione. Sono stati tutti bravi”- Sull’accostamento tra l’opera di Gershwin e le tradizionali marce sinfoniche, poi Grasso così si esprime: -“È sì ardito, ma allo stesso tempo ben pensato. Parliamo in entrambi i casi, infatti, di musica legata al territorio, musica che ne tratteggia fortemente la socialità e la gioia, la frenesia del vivere quotidiano. Rhapsody in Blue è un pezzo straordinario che ha colpito e continua a colpire l’immaginario di tanti musicisti e amanti della musica sin dalla sua prima esecuzione, cento anni fa, alla quale erano presenti anche musicisti come Stravinskij.
Altrettanto possiamo dire delle “nostre” marce sinfoniche. Non siamo abbastanza consci di quanto valore musicale abbiano, forse perché le ascoltiamo a volte distrattamente durante le feste popolari, durante le processioni e mai in concerto. Ecco perché devo fare un altro plauso al M° Palma per la felice intuizione di farle ascoltare comodamente seduti e non distratti da altro. Vi assicuro che dirigerle è stata un’emozione veramente grande per me che sono un salentino innamorato del Salento. Cito un episodio a tal proposito che può farci capire tante cose – aggiunge Marco Grasso – Qualche anno fa con l’Orchestra Rocco Quarta fummo invitati a tenere un concerto per il Conservatorio di Castelfranco Veneto (Treviso), interamente dedicato alla musica da film. Ci chiesero, per un bis, un pezzo legato al nostro territorio di provenienza e che ci caratterizzasse. La scelta cadde sulla famosa marcia sinfonica di Ernesto Abbate “A Tubo”; la reazione del pubblico e dei musicisti veneti all’esecuzione fu tra lo stupore e lo sconcerto positivo. Tale esaltazione collettiva mi fece capire che spesso sottovalutiamo l’importanza di questo repertorio, il suo valore musicale altissimo. E che forse è venuta l’ora perché questo non accada più.
A tal proposito – prosegue il Maestro Marco Grasso – una strada è stata tracciata dal M° Palma, che da tempo si batte e porta l’attenzione sul concetto di recupero del nostro materiale musicale, della sua conservazione e della riscoperta di alcuni autori cosiddetti minori che però nella prima parte del ‘900 hanno caratterizzato con il loro lavoro la vita musicale della Puglia con marce, trascrizioni e pezzi originali per banda. Un’altra caratteristica forse unica nel nostro territorio e che accomuna la vita civile, la vita musicale e la banda è l’esecuzione degli inni durante le feste patronali. Spesso, al termine della tradizionale processione con il Santo Patrono, è tradizione eseguire un inno sacro scritto ad hoc dai Maestri locali. Questo avviene anche nella mia città Salice Salentino, dove ogni 1° luglio, al termine della processione con la Madonna e Santa Elisabetta si esegue la celebre “Salve Regina” del Maestro Angelo Luiso.
Questa esecuzione è il fulcro della festa e per alcuni aspetti forse l’evento più importante della vita civile del paese, che mobilita tante persone ed appassionati anche da altri Comuni. In tanti centri limitrofi come Guagnano, Campi Salentina, Monteroni avviene la stessa cosa. Sarebbe molto interessante, quindi, riuscire a valorizzare ancora meglio questi eventi, renderli oggetto di un vero lavoro di ricerca e di conservazione per lasciare ai giovani la percezione dell’importanza che ha per il territorio una così viva tradizione. Che il mondo bandistico non goda di buona salute è un dato di fatto – dice ancora Marco Grasso – le cause sono diverse e alcune delle quali sono al di fuori del nostro controllo o della nostra volontà. È chiaro che il repertorio delle bande da giro di oggi risente del passare del tempo. Le fantasie operistiche nate decenni fa per permettere l’ascolto e la conoscenza del repertorio lirico a chi non poteva ascoltarlo in teatro non godono oggi dello stesso favore e della stessa passione di decenni fa. In un certo senso, la banda è stata sempre veicolo di trasmissione del gusto musicale dell’epoca e quindi anche fenomeno di costume.
Questo fa sì che la banda sia anche una cartina di tornasole dell’epoca musicale che viviamo. Non possiamo far finta che niente sia cambiato, che il tempo non sia passato, che le feste patronali siano sempre le stesse, così come il gusto del pubblico. Ma, allo stesso tempo, non possiamo pensare di abbandonare le tradizioni le radici da cui siamo nati. Chi non ha radici non ha futuro. Oggi possiamo rinnovare il nostro repertorio con l’integrazione di tanta nuova buona musica, che esiste e che caratterizza il nostro tempo, senza dover rinunciare al repertorio tradizionale. Alcuni pezzi del passato come le marce sinfoniche o come, a titolo di esempio, il poema sinfonico di Ernesto Abbate “La Sagra Dei Fiori”, di notevole difficoltà, motivo per cui si sente eseguire sempre meno spesso, non possono essere messi da parte senza negare la natura della banda ma includere nuovi pezzi come la musica da film, lo swing, il jazz nel repertorio, non può che ridare slancio alla funzione della banda, attrarre un nuovo pubblico, e, in definitiva far sì che la banda continui ad essere il fenomeno di costume di cui non possiamo fare a meno. Ma, ci tengo a ribadirlo, questo nuovo repertorio deve arricchire, mai sostituire. Quali sono gli strumenti e le professionalità necessarie a questo? E’ un argomento delicato, a volte controverso.
Fino a qualche anno fa il Maestro della banda aveva come primo compito quello di creare il repertorio, prima ancora che dirigerlo. Tutte le trascrizioni operistiche tutt’ora in repertorio furono scritte ai tempi d’oro della banda da giro. I Maestri passavano l’inverno a trascrivere le novità del momento, a scrivere nuovi brani, a farli leggere e provare alla banda. Abbiamo infatti diverse versioni delle fantasie operistiche a seconda dell’autore, ognuna con delle scelte precise dal punto di vista musicale, ognuno con le sue caratteristiche riconoscibili, e anche questo insieme alla scelta dei solisti era un modo di mettere a confronto bande, e Maestri. Oggi questo non succede più. Sono pochissimi i direttori che scrivono musica. Questo è un male perché non abbiamo abbastanza materiale musicale che caratterizza il nostro tempo e, soprattutto, non abbiamo materiale musicale pensato espressamente per la banda di riferimento. Quando scrivo musica, so esattamente chi deve eseguirla, quali sono i punti di forza e di debolezza dell’organico, quali sono gli strumenti che avrò a disposizione, e taglio il materiale musicale sui destinatari come farebbe un sarto per un vestito. Questo lavoro, importantissimo, era quello che facevano i grandi del passato. C’è anche da dire che gli organici delle bande per cui sono state scritte le fantasie operistiche in repertorio non esistono più. Questo comporta spesso esecuzioni sgangherate, piene di vuoti, sbilanciate dal punto di vista del suono e molto diverse da quello che è l’autore aveva immaginato nello scriverle. Questo problema fu posto un po’ di anni fa dal Maestro Ermir Krantija, attuale direttore della banda Città di Francavilla Fontana,
che ha fatto e sta facendo un grande lavoro di trascrizione per ricreare questo repertorio. Dal mio punto di vista, sto cercando di portare il mio contributo con nuove trascrizioni di musica da film, di musica jazz e spero, appena gli impegni me lo permetteranno, di terminare una mia trascrizione di Cavalleria Rusticana di Mascagni. Si sta cercando di fare chiarezza sugli organici uniformandosi alla symphonic band e questo può avere certamente delle conseguenze positive, ma anche snaturare un po’ la banda di impronta vesselliana, che è una nostra caratteristica. La formazione del musicista – conclude il maestro marco grasso ha sempre una componente molto legata all’iniziativa personale oltre che alle strutture accademiche. Da giovane studente, ero sempre davanti ad un video di qualche grande direttore, o a studiare un pezzo che mi era piaciuto, a “smontarlo” per vedere com’è fatto. Ricordo bene le prime partiture acquistate con i miei risparmi: il quartetto di Ravel, quello di Debussy e il Requiem di Faurè, che ho avuto finalmente la fortuna di poter dirigere e che presto riprenderò. Nostalgia a parte, noto però che il nuovo ordinamento di studi musicali non risponde effettivamente alle esigenze formative dei giovani. Innanzitutto, l’accesso alla formazione in Conservatorio oggi è molto più semplice. Da un certo punto di vista, questo è positivo perché lo studio della musica non può essere rivolto ad una minoranza elitaria di persone, anzi.
Però, studiare musica non vuol dire fare per forza il musicista, e questo dovrebbe essere chiaro. Non possiamo far illudere le persone che basti fare qualche corso, o prendere un diploma per diventare direttore, compositore, strumentista, musicologo. Questa concezione, sempre dal mio punto di vista, ha come corollario il fenomeno per cui si mandano i ragazzi a studiare musica come se si facessero partecipare ad una qualsiasi attività extra scolastica, col risultato che i ragazzi usano lo strumento solo a lezione, lavorano pochissimo a casa, pensando che lo studio della musica sia quello. Il mio maestro Rino Marrone spesso diceva che il pressapochismo esistente nel mondo della musica oggi è un caso particolare della vulgata corrente per cui tutti possono fare tutto. E vale per ogni aspetto: oggi, vai a trovare uno che ti fa un buon caffè in un bar. Non lo trovi semplicemente perché tutti pensano di essere capaci di farlo, ma non è così.
Morale, ci vuole preparazione e professionalità per tutto. Estendendo il discorso al Conservatorio, vedo ragazzi passare la maggior parte del loro tempo a seguire lezioni piuttosto che a studiare. Io e miei coetanei passavamo la maggior parte del nostro tempo a casa a studiare, a scrivere o ad ascoltare musica. Non dico che sia inutile quello che fanno, o che le lezioni non siano importanti. Bisognerebbe trovare un buon compromesso tra le esigenze di una maggiore offerta formativa che impatti troppo, però, su quello che è fondamentale per un giovane musicista, ossia lo studio, e l’ascolto. E voglio anche dire un’altra cosa, forse, anzi, sicuramente, scomoda. Quando ero studente, per accedere al corso di Direzione d’Orchestra era indispensabile conseguire almeno il compimento medio del corso di Composizione, cioè 7 anni di studio in Conservatorio. Questo comporta la capacità di saper scrivere una fuga ed un contrappunto a otto parti. Al diploma di Strumentazione per Banda tra le prove previste c’era la scrittura di una fuga, in 12 ore, se non sbaglio. In quegli anni gli esami si facevano in clausura. Dove è finito adesso tutto ciò? Dirigere una banda, un’orchestra, un coro o un qualunque gruppo musicale non comporta una conoscenza approfondita dell’idea musicale alla base di quello che si sta dirigendo e dei suoi principi compositivi? Scrivere un pezzo, orchestrarlo, non ha bisogno di una sana base di contrappunto e di armonia perché possa avere un vero valore musicale? Secondo me la musica dovrebbe diventare uno studio curricolare per tutte i gradi d’istruzione e per tutte le scuole per l’alto valore pedagogico e formativo che ha lo studio della musica e di uno strumento. Importantissimo dovrebbe essere lo spazio, l’attività orchestrale ad accompagnare lo studio singolo. in molti paesi europei, studiano e non si preparano a questo oggi. Ce ne sono tanti, e anche molto bravi, molto più preparati della mia generazione. Ma la strada intrapresa dalla formazione accademica, il sorgere continuo di corsi, di master, oggi veicolano il messaggio che tutti possano fare tutto. Non è così.
Ben venga quindi ogni iniziativa di formazione, di crescita personale, di trasmissione della conoscenza, a patto che lo spirito sia quello giusto. Come si potrebbe allora migliorare l’offerta formativa soprattutto per i ragazzi? Secondo me la musica dovrebbe diventare uno studio curricolare per tutte i gradi d’istruzione e per tutte le scuole: come ho detto prima non perché tutti facciano i musicisti ma per l’alto valore pedagogico e formativo che ha lo studio della musica e di uno strumento. Importantissimo dovrebbe essere lo spazio l’attività orchestrale ad accompagnare lo studio singolo. In molti paesi europei, senza scomodare il modello formativo statunitense, tutte le scuole hanno una banda e/o un’orchestra, o più di una, al di là del fatto che si possa frequentare una scuola di indirizzo musicale, l’attività musicale è vista come indispensabile alla formazione dell’uomo e del cittadino. Mi chiedo perché questo modello non possa essere replicato da noi. Sarebbe anche indispensabile che ogni paese, anche il più piccolo, avesse la sua banda non di iniziativa privata ma emanazione dell’amministrazione pubblica.
Oltre al rappresentare un simbolo per la città sarebbe luogo di aggregazione, scuola di vita e di cittadinanza che andrebbe al di là del puro fatto musicale. Le scuole medie di indirizzo musicale per come sono strutturate sono, secondo me, una grande opportunità incompiuta. Più che un vero studio dello strumento a scuola si ha una mera infarinatura su di esso, che tale rimane se non supportata da uno studio privato. In molti casi la grande passione e professionalità dei docenti permette di ottenere risultati al di là delle aspettative immaginate dal poco tempo e delle poche risorse a disposizione di essi. Immaginiamo cosa potrebbe essere mettendo i docenti nella condizione di lavorare di più con i ragazzi. Nella singola scuola poi, non può formarsi una vera orchestra perché gli strumenti a disposizione sono generalmente quattro, Perché non creare dei cluster di scuole, debitamente pensati anche in base al territorio, che possano arrivare alla formazione di una vera orchestra sinfonica giovanile, o di una banda?”. Ecco infine il pensiero del Maestro Grasso sul futuro dell’organico musicale da lui diretto.
-“Il futuro lo immagino teso alla ricerca del nuovo e alla valorizzazione della tradizione e per questo mi piacerebbe riuscissimo a lavorare molto di più sulle marce sinfoniche ma anche sulla scoperta di territori ancora inesplorati, come potrebbero essere delle trascrizioni di pezzi di tradizione orchestrale e solistica, nonché alla riscoperta di pagine dimenticate e non eseguite da decenni, di musica originale. Quest’ultima tematica è un terreno sul quale ci muoviamo già da tempo, grazie anche alla collaborazione con il M° Palma e “Bande a Sud”. In particolare, continueremo il lavoro di riscoperta del repertorio del Maestro Angelo Luiso, che ha lasciato numerose pagine sinfoniche per banda e sulle quali abbiamo già intrapreso un lavoro di trascrizione, per poi arrivare a delle esecuzioni critiche e filologiche. Il sogno nel cassetto è poi di dar vita ad un festival dedicato a George Gershwin, e ad un concorso di composizione”-.