Roberto Vetrano partendo da Veglie (Lecce) ha valicato i confini nazionali grazie alla musica elettronica. Un vero talento pugliese che fa onore all’Italia in campo musicale. Lo ha incontrato per noi Paolo Martina e gli ha posto alcune domande:
Tutta la seconda parte del 1900 ha avuto a che fare con tempo e concezione della forma. Qual’è la sua posizione in merito e la sua musica prende spunto da ciò?
-<Comporre musica – sottolinea Roberto Vetrano -comporta inevitabilmente il doversi confrontare con la forma, con la costruzione di una struttura che si sviluppa nel tempo e che metta in moto i meccanismi della percezione e della memoria dell’ascoltatore. Questo è uno degli elementi cardine presente in ogni esperienza musicale di tutte le epoche. Nel secondo Novecento, poi, molti compositori hanno esplorato nuove dimensioni della forma, rinnovandone il legame con il concetto di percezione e di memoria dell’ascolto, spingendo in alcuni casi questo concetto ai limiti, mi vengono in mente in particolare alcuni lavori di Gerard Grisey (1946-1998) , Morton Feldman (1926-1987) e Luigi Nono (1924-1990). Per quanto mi riguarda sono stato sempre molto affascinato da ciò che è nuovo ed inesplorato. Pur avendo sempre lo sguardo puntato verso il futuro nella musica che scrivo credo ci sia comunque un forte legame col passato. Molto spesso infatti nei miei lavori amo utilizzare forme appartenenti alla tradizione per poterne esplorare le nuove dimensioni sonore possibili>.
Come si trasformano la difficoltà e la ricercatezza in qualcosa di comprensibile a tutti?
-<L’argomento è molto ampio replica Vetrano – e articolato. Credo coinvolga non solo aspetti prettamente musicali ma anche legati a fenomeni sociali e al concetto stesso di cultura di massa. Difficoltà e ricercatezza, mi fanno pensare a come la complessità di un linguaggio, indipendentemente se si tratti di musica o meno, risulti essere spesso poco comprensibile da parte del grande pubblico. Le cause sono molteplici e potremmo parlarne per ore. Da una parte c’è l’industria musicale che lavora sulla semplificazione e sulla riconoscibilità proprio per ampliare il proprio pubblico, dall’altra ci sono musicisti e compositori che lavorano, al contrario, sulla stratificazione del linguaggio, rinnovandolo e rendendolo meno riconoscibile rispetto al passato. Su come si trasforma questa complessità in linguaggio comprensibile non so dare una risposta univoca, forse perché non credo esista un unico grande pubblico. Se scoltiamo la musica che registra miliardi di ascolti sul web, ci troviamo spiazzati davanti alla banalità dei gusti del fantomatico grande pubblico. Credo invece esistano più sfaccettature: c’è il pubblico della musica classica, quello del jazz, i melomani, quelli che ascoltano De André e i cantautori, ci sono i tormentoni estivi, il pubblico della musica rock anni ’60 e ’70, quello del blues, chi usa la musica come sottofondo mentre svolge altre attività. Personalmente, il pubblico che mi interessa di più è quello disposto ad uscire dalla propria comfort-zone per scoprire qualcosa di nuovo, il pubblico che ha la curiosità di cercare una chiave di lettura possibile dinnanzi a qualcosa che non ha mai ascoltato. In questo modo si colma di molto il divario tra la ricercatezza o complessità di un linguaggio e la sua comprensione>.
Qual’è, se c’è, il rapporto tra passione e tecnica compositiva?
<Il rapporto è inscindibile – dice Roberto Vetrano – anche nei casi in cui si voglia volutamente negare una o l’altra dimensione. Per quanto mi riguarda sono sempre alla ricerca di quel delicatissimo equilibrio tra l’urgenza espressiva e la tecnica compositiva che di volta in volta utilizzo, in maniera tale che una non prevalga mai sull’altra>.
E la banda? Primi suoni “en plein air” dalla finestra o primi suoni “tout court” e quali sono i suoi impegni per il futuro?
-<Sono cresciuto in un piccolo paese dalla forte tradizione bandistica – chiosa Vetrano – è stato inevitabile non subire il fascino della banda. Da ragazzino tutti i miei amici che studiavano uno strumento a fiato suonavano nella banda, io invece, da pianista, non ho potuto prender parte a quel mondo sonoro. Esisteva però, ed esiste ancora, la figura del “portatore”, un finto strumentista che imbraccia lo strumento e finge di suonare per far numero. Di solito lo strumento è quello più pesante e scenografico. Avrei fatto anche il portatore pur di poter vivere dall’interno la magia della banda, ma non sono mai riuscito… a farmi assumere. Qualche anno fa, un amico a cui avevo raccontato questo desiderio d’infanzia mai realizzato, mi chiamò chiedendomi se fossi ancora interessato all’esperienza: serviva un “portatore”. Ho preferito mantenere il mio desiderio d’infanzia non realizzato. Sono un “portatore” mancato. Adesso sono al lavoro ad una serie di brani che esplorano il concetto di percezione del suono nella dimensione teatrale. Ho ripreso, inoltre, un progetto per una nuova opera lirica>.
Paolo Martina
Roberto Vetrano è nato a Veglie (Lecce) nel 1982. Ha studiato pianoforte e composizione presso il Conservatorio Tito Schipa di Lecce ed ha poi conseguito il diploma in composizione presso l’Accademia Nazionale Santa Cecilia di Roma sotto la guida di Ivan Fedele. Si è perfezionato con alcuni dei più importanti compositori contemporanei: Salvatore Sciarrino, Beat Furrer, Tristan Murail, Toshio Hosokawa, Marco Stroppa, e Hugues Dufourt. Nel 2010 ha approfondito gli studi di musica elettronica grazie alla frequentazione dell’Istituto di Ricerca e Coordinamento Acustico Musicale di Metz, città del nord-est della Francia. Ha ottenuto numerosi premi, tra questi il premio “Petrassi” per la composizione, consegnatogli nel 2014 dal presidente della Rupubblica Giorgio Napolitano. Ha vinto numerosi concorsi e selezioni internazionali. Nel 2016 alla Biennale di Venezia è stata messa in scena la sua opera buffa “Il Flauto Tragico“. Nel 2017 è iniziato il tour europeo della sua opera lirica “Ettore Majorana, cronaca di infinite scomparse” per coro, orchestra ed elettronica, pubblicata da Ricordi.