Una riflessione attenta ed articolata sul “fenomeno” e la tradizione della banda. Ce la traccia il giornalista e scrittore Giuseppe Pascali che ha pubblicato pure due volumi dal titolo “Gli Spiziotti”, storia della banda dell’Ospizio di Lecce, edito da Capone e “Il Maestro della banda” edito da Grifo. Anche Giuseppe Pascali ha partecipato al seminario di studi, tenutosi nello scorso mese di luglio e dedicato alle bande musicali e organizzato dal Comune di Trepuzzi (Lecce) nel quadro del progetto “Apollo Lands”.
Mi è capitato sovente di essere stato invitato a relazionare ad incontri aventi come tema la banda da giro e la sua centenaria, straordinaria tradizione. Alcuni di essi, forse troppi, avevano come titolo un triste stereotipo: “Quando la banda passò!” frase mutuata da un verso di un successo di Mina del 1967, “La banda”, appunto. Frase d’effetto, senza dubbio, ma malinconicamente intrisa di un senso di musealizzazione di quel meraviglioso universo che è la banda. Finché, finalmente, il manifesto di uno di questi convegni non riportò il titolo: “Quando passa la banda!” un indicativo presente con un effetto speranza sulle sorti della banda, perché la banda non ha mai smesso di passare. Semmai siamo noi che non la ascoltiamo più quando sfila. O, peggio ancora, facciamo finta di non sentirla. In feste patronali sempre più “spersonalizzate” la presenza dei concerti bandistici si è ridotta, ormai, a meno dell’essenziale, con la pratica della “mezza giornata” si rinuncia con estrema leggerezza ai matinée, ai “pezzi” della mattina, al “servizio” della banda nella prima parte della giornata, svestendo quindi il paese da quell’abito fatto di note simbolo di una mattina, quella della festa del santo patrono, diversa dalle altre.
Quanto li abbiamo allontanati quei tempi in cui sulla cassarmonica si sfidavano compagini e maestri. Al pezzo della banda che aveva “la dritta”, e quindi la priorità nella scelta, rispondeva la “seconda banda” con un altrettanto capolavoro di trascrizione. E poi le marce di ingresso in paese, rigorosamente sinfoniche; la seconda banda poi aveva l’onere, la mattina, di chiudere il programma lasciando la piazza suonando, la marcia dall’Ernani di Verdi per andare ad introdurre i fuochi d’artifcio a fine festa e quasi l’obbligo di suonare “A tubo!” di Ernesto Abbate o “Squinzano” di Michele Lufrano prima di chiudere la serata.
C’era un tempo in cui i maestri rivaleggiavano e spesso non si rivolgevano la parola ma si consideravano sempre avversari e mai nemici. Paolo Falcicchio, direttore storico della banda di Gioia del Colle,
che oggi porta il suo nome e che diresse per quarant’anni, non aveva un rapporto idilliaco con Giusepper Piantoni storico direttore del complesso di Conversano. Si racconta che durante una festa a Carmiano (Lecce) cittadina patria di grandi cultori di banda, il Maestro Falcicchio sia andato a sedersi sulla pedana della cassarmonica in attesa che arrivasse il Maestro Piantoni e finalmente riappacificarsi, davanti al pubblico. Ma il direttore della banda di Conversano gli passò pesantemente sui piedi, senza degnarlo di uno sguardo, attaccando a dirigere la sua banda. Piantoni, a sua volta, aveva avuto in precedenza come rivali due autentici pezzi da novanta come i maestri Ernesto e Gennaro Abbate. Si narra che quando Ernesto Abbate incontrò per la prima volta Piantoni gli avesse detto: -<Ah, lei è il famoso Piantone>-. Da allora Piantoni lo ignorò, anche se non mancò mai di riconoscere la grandezza dei due fratelli direttori della storica banda di Squinzano.
Tempi pregni di romanticismo, quando si viveva per la banda e spesso “della” banda. Oggi c’è tutto un patrimonio da recuperare, salvaguardare e tornare ad amare. Molti progetti e leggi sono in essere, ma a noi spetta un compito, semplice quanto fondamentale: tornare a sostare, magari solo per un’ora, sotto una cassarmonica, per ascoltare la banda ed immergerci in un passato di glorie che ha segnato un tassello importante della nostra storia.
Giuseppe Pascali