Un’altra occasione per valorizzare una preziosa composizione per coro e banda è la festa del compatrono di Monteroni (Le) nella seconda domenica di ottobre. Si tratta dell’Inno al Crocifisso attribuito al musicista originario di Neviano gallipolino d’adozione Ercole Panìco (1835-1891), su testo del sacerdote monteronese don Antonio Mocavero (1903 -1963). È evidente la differenza di età tra i due autori avvalorata dal fatto che sul frontespizio della partitura per banda viene riportata la data del 21 settembre 1919 come termine del progetto compositivo e agosto 1921 come conclusione della strumentazione per banda ad opera del maestro Giuseppe De Santis,
all’epoca direttore e concertatore della banda di Monteroni. Un altro elemento da considerare, al fine di comprendere i vari passaggi legati alla partitura, è l’attuale strumentazione firmata dal maestro Nicola Salzano (1888-1959)
terminata il 18 settembre 1947. Molti sono, quindi, i protagonisti di questo spartito ma non si può affermare con certezza che il compositore possa essere Ercole Panìco. Rimane, comunque, alla comunità, il percorso sonoro, intenso e affascinante, di una preghiera sempre attuale, pronta a sostenere l’arduo cammino del cristiano. Il testo dell’inno, preceduto da un’intensa e coinvolgente introduzione (Andante Religioso), è suddiviso in quattro segmenti tonali in cui la melodia è sempre al servizio della parola. È proprio l’equilibrio tra suoni e sillabe che rende unica questa composizione. Il coro di voci bianche apre con “O gran Figlio dell’Eterno”; la melodia ascendente, immersa in un colore scuro, s’inerpica verso l’alto al fine di far lievitare il senso di sofferenza che si percepisce immediatamente, soprattutto nel momento in cui si arresta sulla parola “amore”; si percepisce una sensazione di disagio uditivo in cui l’ascoltatore è “prigioniero” di tale azione melodica. Il secondo segmento è contraddistinto dalla terza strofa “Tu spiravi”; i suoni compiono un salto improvviso e il successivo nuovo motivo alleggerisce parzialmente il colore scuro dello sfondo per consentire un brevissimo passaggio di luce (“e si apriva l’infinito”) che immediatamente viene offuscata e nascosta. Ecco giungere l’unico episodio strumentale. La particolare scelta dei suoni ribattuti conferisce al segmento una particolare energia ben controllata e calibrata la quale viene confermata nella seconda parte caratterizzata in un movimento discendente utile a posizionare il brano su un nuovo colore, ancora drammatico e poco illuminato. “Quando il nero morbo atroce” è la terza parte dell’inno. Una costante cellula ritmico-melodica amplifica la commovente strofa e la colloca all’apice della drammaticità relativa all’intera composizione. Non basterà neanche la pacata e colorata conclusione del periodo musicale a modificare il senso di angoscia percepito sino a questo momento. La svolta avviene con l’“Andante mosso”: cambia il ritmo e il colore dei suoni; questi ultimi sono illuminati da una luce mai comparsa prima. Il centro dell’attenzione ora è rivolto verso le ultime due strofe “Pel Tuo santo legno amato” e “Dalle colpe e dall’abisso” adagiate su un tappeto ritmico dinamico e costantemente articolato. Le melodie dell’Inno rappresentano i “suoni” del lungo cammino dell’uomo.
Antonio Martino
Testo dell’inno:
O gran figlio dell’Eterno
casta vittima di amore
dalla morte e dall’inferno
la tua croce ognun salvò
Fà che sia del nostro cuore
solo a te sacro l’affetto
mentre il tuo dal sacro petto
per noi tutti si versò
Tu spiravi e a noi la vita
discendea dalla tua croce
e si apriva l’infinita
fonte immensa di pietà
Quando il nero morbo atroce
desolava il patrio suolo
questa fonte fu il consolo
nella nostra infermità
Pel tuo santo legno amato
o Signore in croce affisso
dèh con lacrime invocato
tosto il morbo rio fuggì
Dalle colpe e dall’abisso
che ci salvi la tua croce!
Il trionfo della croce
sia compiuto ognor così.